“Mi chiamo Salvatore Lo Bianco, non ho nemmeno la terza elementare e tra due ore riceverò una laurea honoris causa in Scienze naturali all’Università di Napoli. Vorrei che il Professor Dohrn fosse qui a vedermi, perché questo risultato incredibile è merito suo, del suo genio e della sua determinazione. Tutti conoscono il professore per il suo capolavoro: aver immaginato, costruito e portato al successo la Stazione Zoologica di Napoli. Ma io lo ricorderò sempre perché ha trasformato le persone che ci lavoravano – a partire da me – in qualcosa che non avrebbero mai potuto nemmeno immaginare di essere. […]

Il professore riuscì a farsi dare dal comune un pezzo di terra del parco della villa reale per costruirci la Stazione e fu lì che cominciò la mia fortuna. Avevo solo quattordici anni, ero figlio del portinaio e a stento sapevo scrivere il mio nome, ma lui mi disse: “Apriremo un acquario e tu mi aiuterai”. Mai avrei immaginato che un giorno sarei diventato il massimo esperto della cura e della conservazione degli animali marini in cattività, ma il professore sognava in grande e dentro il suo sogno siamo cresciuti tutti.

Quando la Stazione fu pronta e l’acquario fu costruito, cominciò un’avventura che ancora oggi se guardo indietro mi sembra straordinaria, perché si realizzò grazie al solo potere delle intelligenze unite per farla.

Sin da subito si creò un clima da congresso scientifico permanente, con studiosi di tutto il mondo che andavano e venivano a periodi e studiavano tutti cose diverse. […] Insieme a tutte queste persone che andavano e venivano ce n’erano alcune che in apparenza non c’entravano niente con le scienze naturali, ma il professor Dhorn la vedeva diversamente: invitava poeti, pittori, scrittori, musicisti, artisti di ogni genere che venivano a stare con noi per brevi periodi oppure una sola sera, magari per un concerto nella sala che avevamo costruito apposta per le esecuzioni musicali. La loro energia in modo misterioso si univa a quella degli scienziati generando un’armonia che faceva della Stazione qualcosa di davvero speciale, un santuario per ogni intelligenza. Molti anni dopo tutto quello sarebbe stato considerato come un normale modo di lavorare, ma in quel momento nessuno organizzava lo studio in quel modo. Gli scienziati erano creature solitarie e individualiste, che lavoravano da soli o al massimo con poche persone con la stessa specializzazione. La possibilità di condividere alla pari, di scambiarsi idee e di influenzarsi anche tra discipline diverse fu il vero segreto della Stazione, che permise a chi ci veniva di arrivare a risultati che da solo non avrebbe mai potuto raggiungere. Non è mica per caso se nell’arco di novant’anni sono stati diciannove i premi Nobel assegnati a persone che avevano messo a punto le loro ricerche a Napoli! […] I soldi per quel sogno venivano raccolti in modi creativi e del tutto unici, che dipendevano proprio dal nostro stare insieme […] Allora non mi sarei mai immaginato che la gente avrebbe pagato per vedere cosa c’era sul fondo del mare. […]

 

Brano tratto da “Noi siamo tempesta”. Storie senza eroe che hanno cambiato il mondo
di Michela Murgia